Peter Pan: la storia di J. M. Barrie e la versione di Once Upon A Time

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    Gryffindor nel cuore
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    Alessandra: Come suggerito anche dal “Second star to the right” del titolo, la prima parte del gran finale di questa seconda stagione di OUAT (io continuo a considerarlo un finale in due parti, guidata principalmente dall’indizio del titolo spezzato sui due episodi, ma anche dal fatto che sia le vicende a Storybrooke che i flashback sul passato sembrano, basandosi sul promo della 2x22, legati in maniera particolarmente stretta tra loro rispetto alle trame degli episodi precedenti) si conclude con il protagonista dei flashback di questa puntata, un Bae appena catapultato in un mondo senza magia, che lascia la famiglia che lo aveva accolto a braccia aperte in direzione Isola che non c’è.

    Ma se tutto questo vi suona familiare (il mondo senza magia è, più precisamente, una Londra vittoriana, la famiglia amorevole sono i Darling e quella che la bambina lascia entrare dalla finestra è un’ombra senza un “padrone”) andiamo a vedere in che modo la reinterpretazione in chiave Once di questo grande classico si discosta dall’originale e dal modo in cui la Disney ce l’ha fatto conoscere.

    Assumendo che nei flashback della prossima puntata vedremo effettivamente Bae assumere il ruolo di Peter Pan e non di un semplice bambino sperduto, ci aspettiamo quindi di vederlo contrapposto al nostro amato Hook, che abbiamo avuto modo di vedere a Neverland in conclusione di episodio, quando “ripesca” il ragazzo dalle acque in cui l’ombra l’aveva fatto cadere.

    Ma soffermiamoci, appunto, sull’ombra: nella storia originale (a cui la Disney è stata perlopiù fedele) l’ombra era sì senza un padrone nel momento in cui Wendy la trovava nella loro camera, ma si scopriva poi appartenere proprio a Peter, che veniva a riprendersela e a cui la ragazzina la ricuciva ai piedi. L’ombra è quindi indirettamente il mezzo grazie a cui Wendy, Johnny e Michael vengono a conoscenza dell’esistenza dell’Isola che non c’è. Nella versione di OUAT la funzione è più o meno la stessa, ma in questo caso l’ombra è davvero slegata da un qualunque essere umano, non appartiene a Peter/Bae, e non è un’entità positiva. L’avevamo intuito già nel momento in cui compare alla finestra della cameretta, con l’aspetto poco invitante e una strana luce negli occhi (una luce inquietante, contrapposta agli occhi luminosi di cui si parla invece nella storia: le lampade da notte che la signora Darling afferma essere “gli occhi che una mamma lascia dietro di sé per custodire i suoi bambini”. Lampade che tra l’altro vengono accese anche in questo episodio, nella speranza che la loro luce possa tenere lontane le minacce notturne, ma non sortendo l’effetto desiderato). Ce lo confermano in seguito anche le parole della stessa Wendy la mattina dopo: l’ombra è in realtà il custode dell’isola, e una volta andati con lei è impossibile fare ritorno, si è suoi prigionieri. E Wendy viene rimandata indietro perché femmina, quando l’ombra voleva in realtà un maschio, mentre nell’originale Peter le chiede di seguirlo proprio in quanto ritiene che ai bimbi sperduti potrebbe far piacere una presenza femminile, che faccia loro un po’ da “mamma”.

    L’Isola che non c’è assume quindi tinte fosche in questa rilettura, confermando in questo contesto l’avvertimento che Bae rivolge ai tre ragazzini: evitare di entrare in contatto con la magia, è una cosa pericolosa.

    Un’altra differenza sostanziale starebbe quindi anche nel personaggio di Peter, che nella versione originale è già il “leader” dei bambini sperduti quando conosce Wendy e i suoi fratelli e li porta con sé. Qui invece vediamo Bae alle prese con la vita da orfano vagabondo per le strade londinesi (con un aspetto che personalmente mi ha richiamato alla mente anche alcuni giovani protagonisti dei romanzi dickensiani) introdursi di soppiatto in una casa perché spinto dalla fame. Solo in seguito scopre di trovarsi nella casa dei Darling. Anche in questa versione, comunque, la prima che incontra è la piccola Wendy, che si dimostra subito comprensiva e amichevole nei suoi confronti.

    Così come la signora Darling, che quando scopre che la figlia tiene nascosto questo sconosciuto in uno scomparto del muro portandogli cibo di nascosto non si infuria, ma invita anzi il piccolo a rimanere con loro. Un rimando forse all’inizio della favola originale, in cui James Matthew Barrie parla del modo in cui le mamme, mentre i loro figli dormono, “riordinano le loro menti” come si fa con una cameretta, e proprio durante uno di questi momenti, oltre alle “mappe” delle varie versioni dell’Isola che non c’è (per ognuno Neverland assume una forma diversa: Wendy immagina di vivere in una casa fatta di foglie intrecciate, come una casa sull’albero, per Johnny c’è la laguna con i fenicotteri a cui lui può dare la caccia, Michael sogna di un accampamento indiano…tutti luoghi che compaiono infatti anche nella Neverland in cui Peter Pan li accompagnerà), la signora Darling incontra per la prima volta la parola Peter e, sebbene inizialmente confusa, crede a un certo punto di aver già sentito nominare anche lei quel ragazzo: Peter Pan che vive con le fate, un ragazzo che alcuni dicono accompagnare i bambini che muoiono da piccoli per parte del loro percorso, per aiutarli a non essere troppo spaventati da ciò che li attende…forse addirittura un ragazzo che lei stessa ha incontrato da piccola. Ma, proprio a sottolineare come la fantasia dei bambini vada svanendo con l’età, Barrie scrive che la signora Darling è ora “married and full of sense” (sposata e ragionevole, un’adulta) e, nonostante potrebbe un tempo aver creduto alle storie su questo Peter Pan, ora non più. Tuttavia si pone verso la convinzione di sua figlia con un atteggiamento più dolce e comprensivo rispetto al marito, che liquida invece il tutto come “fantasie che presto spariranno da sole”. Anche nella rappresentazione di OUAT i signori Darling mantengono questi ruoli stereotipati: il padre tutto d’un pezzo e guidato dalla razionalità, la madre più accondiscendente e premurosa anche nei confronti di un figlio non suo.

    Un altro dettaglio che gli amanti di questa storia avranno notato verso l’inizio dell’episodio è la presenza del cane-tata Nana, rappresentato con un grande San Bernardo proprio come nel film Disney (anche se nell’originale Barrie parla di un Newfoundland dog: un Terranova… probabilmente la scelta della Disney è stata dettata dall’aspetto più “rassicurante” che un San Bernardo potrebbe avere rispetto a un grosso cane nero come un Terranova…specialmente con una cuffietta da nanny in testa :P)

    Infine, la questione del volo: nell’originale Peter confida ai suoi piccoli amici che il segreto per librarsi in aria è cospargersi di polvere di fata ma in questa versione, trovandoci nel “mondo senza magia” ed essendosi l’ombra presentata da sola, senza una fatina come fa Peter nella storia originale (anche perché le fatine simboleggiano il bene e l’ombra della versione di OUAT non è un’entità benevola), l’unico modo che essa ha per portare con sé i bimbi che rapisce è trascinandoli in aria, non dando loro la possibilità di volare da soli e, potenzialmente, anche fuggire dal suo controllo. La magia è il mondo che Bae si è lasciato alle spalle e che gli ha causato molte sofferenze, per cui in questo episodio, nei flashback a lui dedicati, è su questo potenziale pericolo che la magia costituisce che si insiste molto, sul diffidarne: un motivo in più per mostrarci un bambino trascinato in aria quasi contro la sua volontà da un’ombra che è di certo rappresentazione di magia oscura, non che si libra nei cieli di Londra aiutato dalla polvere fatata e guidato dai pensieri felici.
     
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